This interview appeared in the Italian journal Europa
9 June 2009

CENTROSINISTRA ■ INTERVISTA AL PARLAMENTARE LABURISTA DENIS MACSHANE, EX MINISTRO PER L’EUROPA CON TONY BLAIR
"Basta slogan del secolo scorso, manca un’analisi della realtà"
Domenica è stata una giornata nera per la sinistra europea.
Queste elezioni sono una profonda sconfitta per la sinistra democratica.
È stato un errore storico credere che fosse sufficiente la retorica della denuncia dei fallimenti del capitalismo, ed è un errore pensare che la crisi economica sia un bene per la sinistra. Quando I cittadini sono spaventati per i loro posti di lavoro, per i loro stipendi o per il futuro dei loro figli, votano con atteggiamento difensivo e stanno con i conservatori. La sinistra ha bisogno di risposte convincenti e di un linguaggio tutto suo sull’immigrazione e sulla lotta all’estremismo islamico, per esempio.
Perché la crisi economica non ha aiutato la sinistra?
Alla sinistra serve un’analisi più sofisticata della nuova economia. La semplice denuncia del neo liberalismo o del capitalismo suona bene sulla carta, ma non offre una via d’uscita. Senza una comprensione profonda del nuovo contesto materiale che la gente vive, la sinistra continuerà a ripetere gli slogan del secolo scorso che non sono pertinenti al nuovo contesto globale.
L’ultima copertina del settimanale Newsweek era dedicata a un suo articolo, in cui lei ha scritto che «anche nell’attuale clima anti-mercato la socialdemocrazia deve imparare a diventare pro-mercato».
Mentre i capitali, la cultura e le comunicazioni sono ormai transnazionali, l’organizzazione della politica di sinistra non riesce a liberarsi dalla gabbia della nazione. Quello che conta però non è la scelta tra più o meno mercato, ma tra un mercato efficiente e uno inefficiente. La destra italiana, nazionalista e protezionista, indebolisce le forza economica dell’Italia e le farà perdere molti posti di lavoro.
Perché i cittadini britannici hanno punito così pesantemente il Labour di Gordon Brown?
Ci sono tre crisi che convergono nella politica britannica. La prima è la crisi di un trentennio di capitalismo globale deregolato, che è finito in un disastro del sistema bancario e negli attuali problemi economici che colpiscono la Gran Bretagna come l’Italia e altre nazioni. Poi c’è la crisi legata alla fine del progetto New Labour di Blair-Brown-Mandelson, che aveva dato al paese il suo periodo più lungo di egemonia socialdemocratica. Infine c’è la fine di un certo tipo di cultura parlamentare, di un modo di comportarsi dei deputati. Tutti i paesi soffrono per la prima crisi, ma il Regno Unito deve affrontare anche le altre due. Questa situazione ha coinciso con il governo di un primo ministro come Brown, brillante nell’elaborare politiche economiche, non altrettanto nel comunicare con gli elettori.
Il blairismo è morto, ma anche la sinistra renana non se la passa tanto bene.
Non c’è un unico modello da seguire. Le differenze tra il Ps francese e la Spd tedesca sono più grandi di quelle tra il blairismo e gli altri modelli europei. Ci sono elementi che da ogni sinistra democratica europea di successo si possono trasferire da paese a paese, ma le risposte politiche devono essere flessibili e variabili, non possono essere una semplicistica imitazione di un programma radicato nel tempo e nello spazio in una parte d’Europa.
La crisi della sinistra si spiega anche con il fatto che la paura dell’immigrato (tema caro alle destre) è oggi importante tanto quanto quella della disoccupazione, come dimostra la vittoria della Lega, dei fascisti britannici e di tanti partiti xenofobi?
Temo di sì, anche perché l’immigrazione può essere assorbita solo da un’economia in crescita. Ed è anche vero che molti se non la maggior parte dei richiedenti asilo sono vittime di un traffico criminale di esseri umani e la sinistra deve essere molto più chiara nel denunciarlo. E non dimentichiamo che, tra le altre cose, è la politica agricola protezionista dell’Europa a impedire all’Africa di uscire dalla povertà. Se gli africani non possono esportare i loro beni finiscono per "esportare" se stessi.
Tra i progressisti c’è anche un problema di leadership?
Non si può separare la politica dalla personalità. La sinistra manca di leader convincenti, ma i leader devono essere i primi a essere convinti e sicuri di sé e questo non succede in molti paesi. C’è qualche segnale di speranza nelle nazioni nordiche, dove una nuova generazione di leader donne sta delineando una nuova socialdemocrazia per il XXI secolo.

Dove vede gli esperimenti più interessanti, nella sinistra globale?
La combinazione di economia aperta e riformismo sociale e culturale di Zapatero è interessante. Dovrebbero essere esaminati i partiti di sinistra liberal in Australia e Canada, così come gli esperimenti politici progressisti di alcuni stati degli Usa. Dovremmo guardare al Brasile e al Cile. La sinistra in Europa è soddisfatta di poter amministrare città e regioni, ma rimane incerta sulla conquista del potere a livello statale, che richiede un’alleanza con la borghesia e il capitale.
(daniele castellani perelli)